Dipendenza videoludica e dai social

 

Sulla dipendenza videoludica sono stati scritti fiumi di testi, scientifici e sociologici, psico-sociali ed economici, psicologici e persino politici. Ormai è una costante sottointesa del mondo contemporaneo, come lo sono il gioco d’azzardo e il fumo. Ma la consapevolezza della sua esistenza non è cosa recente: persino l’opinione pubblica la tratta da quasi cinquant’anni. Su quella dai social, invece, ci sono state le prime ripercussioni su larga scala alla fine dello scorso decennio, fenomeni che hanno accompagnato l’ascesa del titano Facebook. Le prime domande che mi sono posto nel voler affrontare il tema sono state: le due dipendenze sono legate in qualche modo? Hanno gli stessi sintomi? Possono essere affrontate con le medesime soluzioni o necessitano approcci speciali? E i nativi digitali reagiscono come noi?

Rispondere non è poi così complesso, anche se il campo di studio, quello delle dipendenze, è bene lasciarlo a un esperto (analista, psicologo… per i risvolti sociali, anche a un sociologo o un antropologo). Però trattare i riscontri più tangibili in questo caso non penso significhi essere malevolmente superficiali. Abbiamo tanta conoscenza resa comune da poter analizzare. E tanta cronaca.

Infatti ci si imbatte di frequente in racconti di episodi – sui giornali, nei TG, sui news feed, sulle riviste specialistiche- di dipendenza videoludica.  Io non dimentico la storia (accaduta ormai parecchi anni fa, i protagonisti non erano ancora nativi digitali) di due ragazzini statunitensi, fratello e sorella, appena adolescente il primo e di poco più piccola la seconda, trovati in uno stato penoso, di igiene meno che precaria, chiusi dentro una roulotte davanti ai portatili e a World of Warcraft. Coi genitori tipi non certo responsabili in giro a farsi gli affari propri. Li avevano dimenticati o se ne fregavano. E senza una guida, le menti dei due piccoli sono facilmente cadute preda della dipendenza per il mondo sensoriale e immaginifico partorito dai videogiochi.

Mondo sensoriale, immaginifico, mondo alternativo, realtà alternativa… questi i termini che usiamo per definire la meta del viaggio che i videogiochi ci fanno fare. Il nostro corpo è fisicamente, neurologicamente stimolato a continuare e a volerne sempre di più. Una fuga dalla realtà? Non tutti ne hanno i motivi. In alcuni casi è così, casi di disadattamento per esempio. Timidezza, ego introverso. Ma per tutti, anche per i più esuberanti e socialmente “attivi” il gioco può avere quella quantità di fascino che lo trasforma in dipendenza: sono gli stimoli, le ricompense. Un vero gioco di equilibri, magistralmente elaborato da sviluppatori e psicologi affinché tocchi le corde giuste di quell’arpa divina che è il cervello umano.

E oggi? I ragazzi, i nativi digitali come si comportano a riguardo? Sono più esposti? La risposta è facile da vedere. Semplice da scoprire. Nati nel mondo ibrido reale-digitale, per loro ciò che noi era dipendenza è la normalità. Quindi non sono più visti come dipendenti, ma normali utilizzatori. Il gioco elettronico non è più tabù, per loro. Possono farlo dove vogliono. Nessuno glielo vieta e per questo è anche meno eccitante farlo. Si stufano in fretta. Quindi farlo quotidianamente è genuina normalità. Anzi, in certi casi sono più equilibrati degli adulti, che gli anticorpi non se li sono fatti… i nativi digitali ormai non sono catturati da quei mondi sensoriali, non gli bastano più. Il gioco è passato in secondo piano. (Parliamo sempre di medie ovviamente, di tendenze. È ovvio che i dipendenti da videogiochi crescono, ma così come cresce la popolazione e cambiano le abitudini…cosa quasi fisiologica). Ora sono i social che la fanno da padrona. La dipendenza più in vista non è più quella per i videogiochi. Ma anche sui social, io sono convinto, che a pari livello di cultura ed educazione, i nativi digitali hanno più anticorpi di noi. Però vanno controllati, bisognerebbe, secondo me, ricordargli che il corpo umano non è fatto per stare piegato su uno smartphone.

Ciò che ci abbatte, ciò che ha reso veramente vuoto il mondo dei social media è secondo me questo:

Si è finiti col creare per condividere.

Solo il creare e poi condividere è, invece, l’arte.

Non c’è più la passione. Solo un etereo gradimento.

Il piacere dei like.

(che poi è nel mio manifesto Nu Geek).

Trattare dei confini in questo discorso sfumato non è semplice. Solo il tempo potrà confermarmi o smentirmi. Intanto Homer ha detto la sua nella seconda parte di questa discussione. Continuate lì, è consigliatissimo. Buona lettura.

 

Pubblicato da Capo (Francesco G.)

Un nerd sempre alla ricerca di miti e mondi lontani. Appassionato di arti visive, storia antica, epica e del fantastico in generale. Nel tempo libero, autore di romanzi e racconti.

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